Con sentenza 980/2025 del 3 giugno, il Tribunale di Cosenza ha rigettato il ricorso di una lavoratrice coinvolta in una procedura di licenziamento collettivo ex legge 223/1991, affermando la correttezza dell’operato datoriale in quanto è stata rispettata la procedura di legge ed è stato applicato fedelmente l’accordo sindacale raggiunto.
La dipendente ha impugnato il licenziamento deducendone l’illegittimità per una pluralità di ragioni, tra cui la violazione dei criteri di scelta individuati dall’articolo 5 della legge 223/1991, la mancata valutazione di soluzioni alternative al recesso quali il trasferimento ad altre unità produttive, la non veridicità della situazione di esubero dichiarata dalla società, nonché la discriminazione indiretta per ragioni di genere, connessa alla percentuale di lavoratrici coinvolte nei licenziamenti. Ha inoltre censurato l’omessa attivazione di un effettivo e corretto confronto con le organizzazioni sindacali, ritenendo che la comunicazione di avvio della procedura e l’accordo sindacale conclusivo non abbiano rispettato i presupposti sostanziali e formali richiesti dalla normativa.
La società ha chiesto il rigetto del ricorso, sostenendo la piena legittimità della procedura seguita, evidenziando l’effettiva sussistenza della crisi organizzativa e produttiva denunciata, nonché l’impossibilità di adottare misure alternative alla riduzione del personale. Ha inoltre sottolineato la corretta applicazione dei criteri di selezione dei lavoratori da licenziare, come delineati nell’accordo sindacale, tra cui la previsione di un incentivo all’esodo in funzione della non opposizione al recesso.
Il Giudice ha affermato che:
- non esiste un obbligo in capo al datore di lavoro di adottare un criterio di territorialità, potendo quest’ultimo circoscrivere la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale a un determinato reparto, settore o sede territoriale;
- i criteri di scelta possono comprendere anche la “non opposizione” al licenziamento, se pattuita in sede sindacale;
- non sussiste alcun obbligo di repêchage, essendo questo proprio del licenziamento per giustificato motivo oggettivo;
- eventuali errori nei punteggi attribuiti in graduatoria che non alterano l’esito della selezione non sono idonei a inficiare l’intera procedura di licenziamento collettivo.
Il Tribunale ha accertato che, nel caso specifico, la procedura era stata correttamente avviata in base agli articoli 4 e 24 della legge 223/1991. Nonostante non ci fosse l’obbligo, nella valutazione è stato coinvolto l’intero complesso aziendale e non solo le singole unità produttive. La scelta dei lavoratori da licenziare è avvenuta secondo criteri concordati con le rappresentanze sindacali e nel rispetto dell’articolo 5 della legge 223/1991. La pretesa della ricorrente di essere ricollocata presso altra sede è stata ritenuta in ogni caso non accoglibile per indisponibilità di posizioni libere dello stesso livello di inquadramento.
Infine, è stata esclusa anche la discriminazione lamentata sulla base della percentuale di manodopera femminile coinvolta nei licenziamenti ritenendo che, nel caso concreto, non vi fosse stata una violazione ai sensi dell’articolo 5, comma 2, legge 223/1991 e comunque non vi sarebbe stata nullità dell’intera procedura di licenziamento. In definitiva, il Tribunale ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la correttezza sostanziale e formale della procedura adottata e condannando la lavoratrice al pagamento delle spese di lite.
Fonte Norme & Tributi Plus – Il Sole 24ore