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Licenziamento collettivo e criterio della professionalità equivalente

In tema di licenziamento collettivo è illegittima la scelta del datore di lavoro di limitare la platea dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti al reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso, in capo a questi, di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative (Corte di Cassazione, Sentenza 16 maggio 2022, n. 15600).

Il caso

Confermando la sentenza di primo grado, la Corte di appello territoriale aveva respinto il reclamo proposto da un Istituto Psicomedico avverso la sentenza di primo grado di annullamento del licenziamento intimato ad una lavoratrice nell’ambito di procedura di riduzione del personale ex lege n. 223/1991.
I giudici del gravame, in particolare, si erano conformati alla valutazione operata dal Tribunale in ordine all’illegittimità della limitazione della platea dei licenziandi ai soli addetti al servizio di trasporto dei disabili: la pacifica soppressione di detto servizio non implicava, difatti, che i lavoratori da licenziare dovessero essere individuati esclusivamente tra gli addetti allo stesso, occorrendo verificare se essi fossero o meno in possesso di professionalità equivalenti a quella di dipendenti dell’Istituto utilizzati in altre realtà organizzative, come emerso nel caso di specie.
L’istruttoria condotta, invero, deponeva nel senso che la lavoratrice in questione avesse svolto, nel corso della sua vita professionale, mansioni ulteriori rispetto a quelle di accompagnatrice, con il medesimo grado di autonomia, professionalità e responsabilità di altri colleghi, in virtù di un’evidente fungibilità e interscambiabilità esistente tra i lavoratori.
Da tanto discendeva, dunque, nel caso in esame, la violazione del consolidato principio per cui la platea dei lavoratori licenziandi deve essere verificata in relazione all’intero complesso aziendale.

Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso l’Istituto.
Esso, nel censurare la sentenza impugnata, contestava il criterio al quale era stata ancorata la valutazione di equivalenza della professionalità della lavoratrice .

La decisione

La Suprema Corte, rigettando il ricorso, ha ribadito il principio secondo cui, in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale.

Tuttavia, poiché ai fini della corretta applicazione del criterio delle esigenze tecnico – produttive dell’azienda, (art. 5 I. n. 223/1991), per l’individuazione dei lavoratori da licenziare, la comparazione delle diverse posizioni dei lavoratori deve essere effettuata nel rispetto del principio di buona fede e correttezza, il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto se detti lavoratori sono idonei – per pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell’azienda – ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti.
Non può, dunque, ritenersi legittima la scelta ricaduta su taluni lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso, da parte di questi, di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative.

I Giudici di legittimità non hanno mancato, inoltre, di rilevare che la necessità di un’ equilibrata conciliazione dei conflittuali interessi delle parti, invocata dal datore di lavoro nella vicenda in esame, è assicurata, una volta per tutte, a livello legislativo, alla stregua del quale, per l’appunto, la limitazione della platea dei licenziandi ad un determinato settore è consentita solo in presenza di obiettive esigenze tecnico- produttive e organizzative, con onere della prova a carico dello stesso datore di lavoro, e rimaste indimostrate nella vicenda sottoposta al vaglio della Corte.

 
Fonte Teleconsul Editore SpA