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Azzeramento del periodo acausale e rinnovi dei contratti a tempo determinato

Di seguito, un interessante Approfondimento di Eufranio Massi,  Esperto di Diritto del Lavoro, sul tema “periodo acausale e rinnovi dei contratti a tempo determinato dopo la conversione in Legge del Decreto Lavoro“:
 

Durante la conversione in legge del D.L. n. 48/2023, il Legislatore ha pensato bene di introdurre oltre alle nuove causali che sostituiscono quelle vecchie di natura legale introdotte ad agosto 2018 dal c.d. “Decreto Dignità”, due novità che vanno nella direzione di rendere, per i datori di lavoro, più fruibile il nuovo contratto a tempo determinato: mi riferisco all’azzeramento del periodo “acausale”, ai fini del computo massimo, per i nuovi contratti a partire dal 5 maggio 2023, data di entrata in vigore del D.L. n. 48, ed al fatto che il rinnovo del contratto, avvenuto nei primi dodici mesi, non necessita dell’apposizione di alcuna condizione.

Ma, andiamo con ordine ricordando che le due novità introdotte si collocano all’interno dell’art. 24 della legge 3 luglio 2023 n. 85, che, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 153 del 3 luglio u.s., ha convertito, con modificazioni, il D.L. n. 48.

Cominciamo dall’azzeramento: afferma il nuovo comma 1-ter dell’art. 19 del D.L.vo n. 81/2015 che “ai fini del computo del termine di dodici mesi previsto dall’art. 19, comma 1 e dall’art. 21, comma 01, del D.L.vo n. 81/2015, si tiene conto dei soli contratti stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto (ossia il 5 maggio u.s.)”.

Si tratta, a mio avviso, di una norma pensata per agevolare il ricorso ai contratti a tempo determinato in un momento in cui la contrattazione collettiva, nella maggior parte dei casi, deve ancora sottoscrivere accordi sulle causali e si ha una certa ritrosia a lasciare al datore di lavoro l’identificazione delle esigenze tecnico, produttive ed organizzative che, per evitare contenziosi di vario genere, vanno specificatamente declinate.

Cosa significa la norma sopra riportata?

Fermo restando che la durata massima dei contratti a tempo determinato (che non è stata, assolutamente, coinvolta dalla riforma delle causali) è di 24 mesi (o il termine diverso previsto dalla contrattazione collettiva) per mansioni riferibili allo stesso livello della categoria legale di inquadramento, per i contratti stipulati a partire dal 5 maggio i precedenti 12 mesi “acausali”, non contano. Da ciò discendono alcuni esempi che, seppur non esaustivi, ci rendono evidente la portata della novità:

a. Contratto a tempo determinato scaduto (o in scadenza) di durata di 12 mesi, senza l’apposizione di alcuna condizione: il datore di lavoro ed il lavoratore possono stipulare un ulteriore contratto a termine della durata di 12 mesi, per le stesse mansioni, senza causale (i primi 12 si sono “azzerati”) ma non possono andare anche oltre inserendo una delle nuove condizioni (il rapporto si trasformerebbe a tempo indeterminato) perché, complessivamente, hanno raggiunto i 24 mesi (ovviamente, possono andare oltre se la contrattazione collettiva applicata in azienda prevede un termine massimo più ampio, o possono stipulare un ulteriore contratto avanti ad un funzionario dell’Ispettorato territoriale del Lavoro per un massimo di 12 mesi, con l’apposizione di una condizione, come previsto dall’art. 19, comma 3, e rispettando lo “stop and go”, come ribadito, negli ultimi anni dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro);

b. Contratto a tempo determinato scaduto (o in scadenza) di 16 mesi: si tratta di un rapporto che, probabilmente, si è sviluppato per 12 mesi senza causale e, successivamente, attraverso una proroga o un rinnovo è arrivato a 16 mesi. Alla luce delle novità introdotte dalla legge di conversione n. 85, il datore di lavoro che ha visto “azzerati” i primi 12 mesi senza l’apposizione di alcuna condizione, può prorogare il rapporto (qualora non abbia esaurito le 4 proroghe), senza l’apposizione di alcuna causale, per un massimo di 8 mesi, in quanto non può superare la soglia dei 24;

c. Contratto a tempo determinato scaduto (o in scadenza) di 12 mesi con causale (è il caso, ad esempio, di un contratto a termine in sostituzione per una maternità lunga): il datore di lavoro ha sempre a disposizione ulteriori 12 mesi di contratto senza apposizione di alcuna condizione;

d. Contratto a tempo determinato in scadenza dalla durata di 12 mesi: se il datore procede con una proroga, superando tale soglia, deve apporre una causale, cosa che non succede se stipula “ex novo” il contratto, atteso che la disposizione parla di “contratti stipulati” e non di “contratti prorogati senza soluzione di continuità”. In caso di nuovo contratto stipulato occorre rispettare lo “stop and go” (art. 21, comma 2) che è di 10 o 20 giorni di calendario a seconda che il precedente rapporto abbia avuto una durata fino a 6 mesi o superiore. Il mancato rispetto fa sì che il rapporto diventi a tempo indeterminato a partire dal secondo contratto.

Ovviamente, su questo e, in generale, su tutti gli aspetti innovativi della disciplina dei contratti a tempo determinato si attendono chiarimenti di prassi da parte del Ministero del Lavoro o, come avvenuto in passato in situazioni analoghe, dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Nulla è cambiato, poi, sia per le proroghe (sempre 4 nell’arco temporale di 24 mesi), sia per lo “stacco” tra un contratto e l’altro, che per la durata massima (24 mesi o termine diverso previsto dalla contrattazione collettiva.

Ovviamente, quanto appena detto, non trova applicazione per i contratti a termine per attività stagionali che sono quelle individuate dal D.P.R. n. 1525/1963 (che dal 2020 comprende anche l’accordo collettivo del settore turistico della provincia di Bolzano) e dai contratti collettivi, anche di secondo livello. Qui, non c’è alcun obbligo di apposizione di causali, non è previsto “lo stacco” tra un rapporto e l’altro, la durata complessiva può ben andare oltre i 24 mesi ed il diritto di precedenza, regolarmente esternato per iscritto entro i 3 mesi successivi alla cessazione del contratto (i mesi sono 6 nel contratto a tempo determinato “normale”) è per un altro contratto a termine “stagionale”, mentre per l’altro è per una assunzione a tempo indeterminato entro i 12 mesi successivi alla cessazione del rapporto.

La seconda novità riguarda il rinnovo (la contribuzione aggiuntiva dello 0,50% è sempre da pagare) del contratto a tempo determinato ove il comma 01 dell’art. 21, ora afferma che “il contratto può essere prorogato o rinnovato liberamente nei primi 12 mesi e, successivamente, solo in presenza delle condizioni di cui all’art. 19, comma 1”. In caso di violazione di quanto appena detto il contratto si trasforma a tempo indeterminato.

Dalla novità introdotta nel testo discende che:

a. Il rinnovo di un contratto scaduto, se avviene nei primi 12 mesi non abbisogna di alcuna causale: ovviamente, qualora dovesse superare tale soglia, occorrerà inserire una condizione. Il rinnovo è un nuovo contratto tra le parti che necessita del rispetto dello “stop and go”. In caso di rinnovo di un contratto a tempo determinato per le stesse mansioni già espletate, la norma (art. 7 del D.L.vo n. 104/2022) esclude l’apposizione del patto di prova;

b. Qualora il primo contratto abbia avuto una durata di 12 mesi, ma anche inferiore, se si supera tale soglia, per effetto dei mesi previsti dal rinnovo, occorre inserire una delle condizioni previste dall’art. 19, comma 1, rispettando, anche in questo caso “lo stacco” tra un contratto e l’altro. Il mancato rispetto dello “stop and go” comporta la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto (art. 21, comma 01, secondo periodo).

c. Nei contratti a termine per attività stagionali (art. 21, comma 01, ultimo periodo) non è necessario apporre alcuna causale sia in caso di rinnovo che di proroga.

Le disposizioni appena commentate valgono anche, a mio avviso, per la somministrazione a termine, attesa l’assonanza, all’interno dell’art. 19, delle due tipologie contrattuali.

Allorquando si parla di nuove causali occorre far riferimento a quanto previsto dall’art. 24 del D.L. n. 48, convertito nella legge n. 85/2023 ricordando che le stesse sono apponibili:

a. Nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’art. 51 che sono quelli, anche di secondo livello, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, comparativamente più rappresentative a livello nazionale (a livello aziendale dalle “loro” RSA o dalla RSU):

b. In assenza della previsione della contrattazione collettiva di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda (quindi anche contratti collettivi non rappresentativi se prevedono causali) e, comunque, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti, e in ogni caso entro il 30 aprile 2024. Per prevenire possibili contenziosi è opportuno declinare le esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva;

c. In sostituzione di altri lavoratori: la norma è molto ampia e consente la sostituzione di qualsiasi lavoratore assente dal posto di lavoro, con i soli divieti posti dall’art. 20, la cui violazione comporta “ex lege” la trasformazione del rapporto in contratto a tempo indeterminato.