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Contratti di prossimità ma con retribuzione adeguat

Il contratto di prossimità non può derogare ai trattamenti previsti dal Ccnl se manca un reale collegamento tra la deroga e la riorganizzazione del lavoro e, in ogni caso, la riduzione retributiva deve tenere conto della necessità di rispettare l’articolo 36 della Costituzione. Inoltre, l’effetto erga omnes dell’accordo di prossimità sussiste solo se viene siglato da un’organizzazione sindacale comparativamente più rappresentativa. Il Tribunale di Napoli (sentenza 1751/2024 del 7 marzo) fissa i paletti entro i quali può essere applicato lo strumento molto controverso dell’accordo di prossimità, istituito e regolato dall’articolo 8 del Dl 148/2011.

La controversia vedeva contrapposta una società e un lavoratore che aveva messo in esecuzione dei crediti da lavoro (legati all’ inquadramento e all’orario di lavoro) individuati da un atto di diffida accertativa notificata dall’ispettorato territoriale del lavoro di Perugia. Il datore di lavoro applicava ai dipendenti, compreso quello coinvolto nel giudizio, un contratto collettivo nazionale (commercio Confsal) integrato da un accordo collettivo aziendale di prossimità siglato dalle stesse associazioni firmatarie del contratto nazionale. Tale accordo di prossimità aveva lo scopo dichiarato di «garantire una maggiore occupazione, una fase di avviamento aziendale più agevole e la qualità del Ccnl» e, sulla base di tale finalità, prevedeva alcune deroghe in materia retributiva.

Il Tribunale ha riconosciuto la validità della pretesa creditoria del lavoratore, partendo dalla considerazione che il contratto collettivo nazionale applicato sarebbe «carente del requisito della rappresentatività»: conclusione cui giunge usando i parametri di misurazione stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione 3341/1998) come recepiti dalla prassi amministrativa (circolare 10310/2012 del ministero del Lavoro).

Partendo da questa considerazione, il Tribunale ha confrontato la retribuzione applicata con quella che sarebbe spettata sulla base di un Ccnl firmato da soggetti dotati di rappresentatività, arrivando alla conclusione che tra i due valori (tenendo conto di parametri omogenei) sussisterebbero «scostamenti di retribuzione rilevanti» tale da ledere in concreto «il principio di proporzionalità alla quantità e qualità di lavoro espletata».

Nel richiamare l’articolo 36 della Costituzione, il Tribunale riafferma i concetti contenuti della sentenza 3713/2023 della Corte di cassazione sul “salario minimo”, ricordando che, anche allorquando un livello salariale è concordato ed è sottoscritto dalle associazioni datoriali e dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, non è detto che – per ciò solo – esso risponda ai canoni costituzionali di un salario giusto.

Con specifico riferimento alle deroghe contenute nell’accordo di prossimità, inoltre, la sentenza chiarisce che un’eventuale riduzione di retribuzione è illegittima allorquando essa non possa essere ritenuta definibile come «intervento di “disciplina del rapporto di lavoro”, stante la mancata contestualità tra la suddetta riduzione immediata e la riorganizzazione complessiva del lavoro».

Sempre con riferimento agli accordi di prossimità, la sentenza affronta il tema della valenza erga omnes di queste intese, ricordando che tale effetto è configurabile solo allorquando ricorrano tutti i presupposti richiesti dalla legge, in ragione del carattere eccezionale dell’istituto (carattere ribadito dalla sentenza 52/2023 della Corte costituzionale). Se manca il requisito della rappresentatività dei soggetti stipulanti, l’accordo di prossimità non può dispiegare l’effetto erga omnes previsto dal Dl 148/2011.

La sentenza ricorda, infine, che la diffida accertativa può essere emessa ogni volta che il personale ispettivo dell’Inl abbia la prova che, per inosservanze del regolamento contrattuale, il lavoratore vanti un credito patrimoniale; può formare oggetto del provvedimento di diffida accertativa qualsiasi istituto economico contrattualmente pattuito fra le parti e derivante dalla costanza del rapporto di lavoro o dalla cessazione dello stesso e che abbia natura retributiva, indennitaria, forfettaria o premiale (circolare 1/2013 del ministero del Lavoro).

Una pronuncia che restringe la porta applicativa degli accordi di prossimità e conferma l’indirizzo giurisprudenziale sull’immediata precettività dell’articolo 36 della Costituzione. La sentenza, tuttavia, non nega in assoluto la possibilità per gli accordi aziendali, che siano ordinari o di prossimità, di stabilire delle deroghe ai trattamenti fissati dalla legge o dai contratti collettivi: viene soltanto richiesto un maggiore rigore applicativo, che deve portare alla verifica della sussistenza di tutti i presupposti normativi e sostanziali necessari per utilizzare istituti aventi natura eccezionale.

Fonte Norme & Tributi Plus – Il Sole 24ore