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Licenziabile il dipendente che timbra ma non è in ufficio

Il testo unico sul pubblico impiego, nel regolamentare (all’articolo 55-quater) il licenziamento disciplinare, elenca una serie di ipotesi in cui – ferma restando la disciplina in tema di recesso per giusta causa o per giustificato motivo – il comportamento del lavoratore determina sempre e comunque la sanzione disciplinare del licenziamento. Tra queste, c’è la falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente. A tale proposito, la Corte di cassazione (29028/2023) ha avuto modo di precisare che questa fattispecie disciplinare di fonte legale si realizza, chiaramente, in tutti i casi di alterazione o manomissione del sistema, ma non solo. La stessa si configura ogni qualvolta venga fatta una timbratura con l’obiettivo di far risultare che un certo lavoratore, in realtà assente, è rimasto in ufficio durante l’intervallo temporale compreso tra la registrazione dell’entrata e quella dell’uscita. L’allontanamento dal posto di lavoro effettuato senza far risultare i periodi di assenza economicamente apprezzabili, del resto, è una condotta oggettivamente idonea a indurre l’amministrazione di appartenenza in errore circa la presenza sul luogo di lavoro. Oltretutto, si tratta di un comportamento che, secondo l’articolo 55-quinquies del testo unico, è addirittura penalmente rilevante ed è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 400 a 1.600 euro. 

I giudici della Corte di cassazione, nell’analizzare l’articolo 55-quater del decreto legislativo 165/2001, ne hanno anche chiarito la natura di fonte sovraordinata ai contratti collettivi, con la quale il legislatore ha introdotto delle specifiche ipotesi di licenziamento disciplinare con qualificazione prevalente rispetto a quella contrattuale. Si tratta, ancora più nel dettaglio, di fattispecie di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo che costituiscono delle ipotesi aggiuntive rispetto a quelle individuate dalla contrattazione collettiva e che determinano, nel caso in cui le clausole di quest’ultima siano da esse difformi, la sostituzione di diritto in base agli articoli 1339 e 1419, comma 2, del Codice civile.

Nel caso oggetto della sentenza, a fronte di una specifica ipotesi di falsa attestazione della presenza in servizio, i giudici del merito avevano comunque valutato la condotta sotto il punto di vista oggettivo, considerando le modalità, l’intensità dell’elemento intenzionale, il carattere abituale e fraudolento e la preordinazione delle modalità esecutive, e avevano correttamente apprezzato, a parere della Corte di cassazione, la proporzionalità della sanzione espulsiva e la lesione del vincolo fiduciario, giustamente valutando il comportamento talmente grave da rendere irrilevante sia l’entità della retribuzione indebitamente percepita che l’assenza di precedenti disciplinari.

Fonte Norme & Tributi Plus – Il Sole 24ore