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Licenziamento legittimo per il dipendente che addebita al datore di lavoro spese non riferite all’attività lavorativa

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 7467, depositata il 15 marzo 2023, ha sancito la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato alla dipendente che aveva addebitato alla società datrice spese di carburante per l’uso dell’auto aziendale non riferibili allo svolgimento dell’attività lavorativa.

Nel caso in trattazione, la Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, respingeva la richiesta di una lavoratrice dipendente volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatole per avere addebitato alla società spese di carburante per l’uso dell’auto aziendale non riferibili allo svolgimento dell’attività lavorativa.

Il Tribunale, in fase sommaria, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento per tardività della contestazione disciplinare sul rilievo che la società datoriale, pur ricevendo mensilmente i giustificativi delle spese di carburante, avesse omesso di svolgere tempestivi controlli, così pregiudicando il diritto di difesa della dipendente. La Corte territoriale, invece, aveva ritenuto che l’immediatezza della contestazione dovesse valutarsi avendo riguardo non al verificarsi dei fatti contestati bensì al momento in cui il datore di lavoro ne aveva avuto conoscenza e che la lavoratrice, nel fornire giustificazioni scritte, non aveva lamentato alcun pregiudizio al diritto di difesa connesso al tempo trascorso dai fatti addebitati. Secondo i giudici di appello, l’utilizzo fraudolento del denaro aziendale per scopi privati costituiva grave inadempimento atto a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario, così da integrare una giusta causa di recesso.

Avverso questa sentenza la dipendente proponeva ricorso per cassazione lamentando violazione e falsa applicazione della L. 300/70, art. 7, comma 2 e, in particolare, del principio di immediatezza e tempestività della contestazione disciplinare. La Corte, seguendo un principio già consolidato, ricordava che il datore di lavoro ha il potere, ma non l’obbligo, di controllare in modo continuo i propri dipendenti e di contestare loro immediatamente qualsiasi infrazione al fine di evitarne un possibile aggravamento, atteso che un simile obbligo, non previsto dalla legge né desumibile dai principi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., negherebbe in radice il carattere fiduciario del lavoro subordinato, sicché “la tempestività della contestazione disciplinare va valutata non in relazione al momento in cui il datore avrebbe potuto accorgersi dell’infrazione ove avesse controllato assiduamente l’operato del dipendente, ma con riguardo all’epoca in cui ne abbia acquisito piena conoscenza” (Cass. n. 10069/2016; Cass. n. 28974/2017; Cass. n. 21546/2007). Secondo gli Ermellini, inoltre, la Corte d’Appello si era attenuta ai canoni giurisprudenziali attraverso i quali sono state definite le nozioni legali di giusta causa e di proporzionalità della misura espulsiva ed aveva motivatamente valutato la gravità della condotta e la specifica idoneità della stessa a far venir meno l’affidamento nel corretto futuro adempimento degli obblighi contrattuali.