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Società estere e Sede effettiva

La Corte di Cassazione ritorna, con l’ordinanza in parola, su un tema che ha vastissime implicazioni nel panorama delle società costituite all’estero, ribadendo che nell’analisi delle presunzioni che attivano gli enti accertatori, chiamati a verificare la residenza effettiva di una società nominalmente estera, vanno attentamente valutati tutti gli indizi dei quali l’Amministrazione Finanziaria venga a conoscenza.

La prassi di costituire società all’estero, indipendentemente – non era oggetto del contendere nel caso in esame – da effettivi vantaggi fiscali derivanti dalla residenza in Paesi esteri, ha nel corso del tempo rivestito sempre maggior peso, e conseguentemente ha sempre maggiormente attirato l’attenzione dell’Amministrazione Finanziaria nell’evitare comportamenti elusivi da parte di operatori italiani: nel procedimento di cui trattiamo, una società residente in Cina operava nel campo della fabbricazione di apparecchiature elettriche sotto il controllo di una società italiana, i cui amministratori sedevano contemporaneamente nel Consiglio di Amministrazione della controllata cinese, così come appurato nel corso della redazione di un P.V.C.

I rilievi dell’Amministrazione Finanziaria, che considerava quindi, stante il rapporto di controllo della gestione ad opera di soggetti residenti nel territorio italiano, anche la società cinese come sottoposta alla potestà impositiva italiana, furono però disattesi dai giudici della Commissione Tributaria Provinciale adita, e tale decisione fu confermata dal riesame della Commissione Tributaria Regionale.

La Corte di Cassazione, ricevuto ricorso dall’Agenzia delle Entrate, ha ritenuto fondamentale quindi stabilire quali elementi presuntivi possano effettivamente trovare applicazione per la definizione di società estera.

Partendo dall’assunto dell’art. 73, terzo comma, t.u.i.r., il primo periodo del quale dispone che « Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.», la Corte di Cassazione pone in rilievo le circostanze poste a base delle richiesta erariale, e ritiene che la CTP prima e la CTR poi non avessero adeguatamente valutato il fatto che, sebbene nominalmente la società oggetto di verifica avesse sede legale ed operativa nella Repubblica Popolare Cinese, la maggior parte dei componenti del Consiglio di Amministrazione fossero cittadini italiani, residenti in Italia e che le decisioni venissero prese, in relazione alle strategie aziendali, ai canoni di produzione ed alle politiche commerciali, direttamente dall’Italia, sebbene sia stato assunto dalla società ricorrente che uno degli amministratori fosse di nazionalità cinese.

Tali circostanze non erano state adeguatamente considerate dai giudici di primo e secondo grado, che nelle loro motivazioni avevano asserito di aver tralasciato tali indizi, ponendo l’accento esclusivamente sulla sede legale della società e sul luogo di svolgimento dell’attività.

Conclude quindi, accogliendo le richieste dell’Agenzia delle Entrate, per il rinvio della discussione alla CTR competente in diversa composizione, per un nuovo esame della questio

Fonte Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli